L’amicizia, quella vera

A. è andato con suo fratello, non l’ho visto più. Sua madre mi ha detto che è partito per arrivare in Europa.

Mi chiamo J., ho 17 anni, vivo in una comunità. Ho tanti amici, tra questi amici ho l’amico migliore che si chiama A..

Quando eravamo in Bangladesh noi giocavamo insieme. Nella nostra zona abbiamo un grande campo per giocare ma invece nella zona di A. non c’è. Mi piace molto giocare al cricket invece A. preferisce giocare a calcio. Eravamo pochi ragazzi, per questo ogni tanto giocavamo a calcio, ogni tanto a cricket. Ma giocavamo sempre. Tutti i giorni e tutto il giorno stavamo insieme, scherzavamo sempre. 

Un giorno quando noi giocavamo a calcio è arrivato un ragazzo, fratello di A. a chiamarlo. E A. è andato con suo fratello, non l’ho visto più. Un giorno io sono andato a trovare A., a casa sua. Sua madre mi ha detto che lui non sta più in Bangladesh, è partito per arrivare in Europa. Dalla sua famiglia nessuno mi ha potuto dire dove va A.. In quel momento mi sono sentito male, perché non siamo solo amici ma siamo come fratelli. Lui mi mancava tanto, ero anche un po’ arrabbiato, perché non mi aveva detto niente che partiva, forse c’era qualche problema. E poi dopo qualche giorno anch’io ho deciso che dovevo andare in Europa, motivo la povertà. Un giorno sono partito per arrivare in Europa. Prima sono arrivato vicino al confine dell’India con l’autobus in una piccola campagna, dove c’era tanta gente come me per passare il confine. Eravamo quasi quaranta persone. Poi di notte abbiamo attraversato il confine. C’era una persona indiana che ci ha guidato per arrivare in una campagna. Poi siamo arrivati in una casa antica dove non c’era nessuno, in quella villa c’erano solo cespugli. Poi poco a poco siamo arrivati vicino al confine del Pakistan. Abbiamo preso un camion per attraversare il confine, tutta la notte correva il camion e alla fine della notte nell’alba siamo arrivati in Pakistan. Poi dal Pakistan siamo arrivati in Iran. In Iran sono stato tre giorni, perché ho sentito che il posto è molto pericoloso. Poi dall’Iran siamo arrivati in Turchia e avevo tanta fame, ero stanchissimo. Perché [per] arrivare in Turchia abbiamo camminato tanto, anche perché per due giorni non ho mangiato quasi niente, solo che abbiamo bevuto l’acqua, ho chiesto qualcosa per mangiare, subito dopo una guida turca mi ha dato qualche schiaffo e tre botte. Subito ho visto delle stelle che stavano girando nella mia testa. Non fa niente, perché sono abituato a prendere queste cose, e poi non mi ricordo niente fino a quando mi hanno svegliato buttandomi dell’acqua sulla faccia. Quando mi sono svegliato una guida mi ha detto chiama tuo paese per i soldi, se no ti ucciderò. Poi ho chiamato la mia famiglia per chiedere i soldi, perché lo sapevo che se non mi mandavano i soldi sicuramente mi uccideva. Mia famiglia ha mandato mille euro per salvarmi. Non è l’unica volta che è successo così, altre volte.

E poi una notte siamo partiti per arrivare in Grecia. Per arrivare in Grecia è successo un’altra storia, eravamo quasi venti persone, Tra di noi eravamo cinque persone che abbiamo fatto sette-otto viaggi insieme dall’Iran fino ad arrivare in Grecia. Ma uno di noi si é ferito molto, perché lui é caduto da una piccola collina. Noi volevamo aiutarlo ma non abbiamo potuto, perché chi voleva aiutarlo le guide ci menavano e ci hanno fatto correre. Poi una guida è andato a cercarlo, non so dopo cosa è successo, non so se lui è ancora vivo, ci siamo sentiti tanto male. Non è la prima volta che è successo così, succede ogni tanto in viaggio, un giorno siamo arrivati in Grecia. E dalla Grecia, con una nave siamo arrivati a Bari, in Italia. A Bari sono stato qualche giorno, non ho trovato nessun lavoro a Bari, poi sono arrivato a Roma per trovare un lavoro. Non ho nessun parente in Italia che mi potesse aiutare, non avevo soldi, non avevo una stanza per dormire. In quel momento non avevo nessuno che mi poteva dare un buon consiglio. Di notte dormivo alla Stazione Termini, tutto il giorno giravo tutta la Roma a cercare lavoro. Non capivo la lingua italiana. Così ho passato sette-otto giorni a Roma. E poi un giorno un ragazzo bengalese mi ha parlato di “CIVICOZERO” che mi poteva aiutare. Da quel giorno sono arrivato a “CIVICOZERO”, veramente loro mi hanno aiutato molto.

Ora io abito in una comunità. Quando io sono arrivato nella comunità, dopo qualche giorno dopo di me per fortuna è arrivato A. nella stessa comunità dove abito io. Quando l’ho visto non ho potuto riconoscerlo bene da lontano. Pensavo fosse un compagno di viaggio, perché ho viaggiato con tante persone, sempre ho dovuto cambiare gruppo. Quando mi sono avvicinato ho visto A. il mio migliore amico. Subito mio cuore batteva forte, lui  mi abbracciava forte anch’io a lui e mi è passata la rabbia che avevo su di lui.

Siamo stati tanto tempo insieme in una comunità, giocavamo come prima, giravamo molte parti di Roma, abbiamo passato un bel tempo. Ma quando A. ha fatto 18 anni, il responsabile della comunità lo ha mandato fuori dal centro. Per fortuna noi ci incontriamo a “CIVICO ZERO”. Dove insieme noi facciamo un corso di reportage. Però lui ha scelto di fare delle riprese video invece io ho scelto fotografia. Ma quando finiscono le lezioni sempre chiacchieriamo un po’.

A. non solo è mio migliore amico, è come mio fratello. Ogni tanto immagino che quando farò 18 anni e se avrò un lavoro, affitteremo una casa e abiteremo come eravamo prima.

J.
(Bangladesh)