Passano pochi minuti e si presenta sulla porta un ragazzo, che di lì a poco avremmo scoperto chiamarsi Ahmed. Capelli arruffati ma curati, sguardo sveglio e un sorriso che ti conquista in un secondo. Qui a Civicozero questi ragazzi abbiamo imparato a conoscerli. Ci sono quelli che arrivano dimessi, con il viso che mostra già tutto ciò che hanno attraversato nella vita. Poi ci sono quelli che assumono pose da duri, con sguardo truce, faccia scazzata, cappellino e borsello d’ordinanza e atteggiamento da capetto per nascondere tutte le loro fragilità.
E poi ci sono quelli come Ahmed. Non hanno bisogno di sembrare dei duri o di darsi arie da capetti. Sono dei leader naturali, di quelli così carismatici che mettono soggezione solo a guardarli.
Ahmed entra, si presenta. Ha 17 anni. Ci chiede se può andare nell’altra stanza. È come se conoscesse già questo posto. “Forse glielo hanno raccontato” pensiamo noi.
Va nell’altra stanza e si mette sulla panca dietro una colonna. Cuffiette nelle orecchie e testa appoggiata al muro, come a dire “non disturbare”.
Ora, noi sappiamo che quella è un’occasione d’oro per agganciare un ragazzo, per parlarci, per iniziare a costruire una relazione con lui. Eppure qualcosa nel suo atteggiamento ci diceva di lasciar stare. Passano un paio d’ore. Si alza. Gira un po’ per il centro. Esce.
“Avremo fatto bene?” era la domanda che ci facevamo tutti.
La risposta è arrivata la mattina dopo. Stessa ora, Ahmed entra, ci dà il numero di tessera, stessa panca, stesse cuffiette, stessa faccia. Un paio d’ore, si alza, esce.
Questa scena è andata avanti per settimane. Ogni tanto ci affacciavamo per assicurarci che tutto andasse bene. Neanche gli altri ragazzi che frequentano Civicozero avevano il coraggio di avvicinarlo e anzi, passandogli davanti abbassavano la voce per non disturbarlo.
Senonché, un giorno, Ahmed ha approfittato di una delle nostre incursioni per dire
- “possiamo parlare?”
- “certo”
- “non qui”
- “ok, andiamo dillà”
E ci ha raccontato tutto: la sua vita, il viaggio, il fatto che è a capo di un gruppo che imperversa in un intero quartiere, che i ragazzi lo rispettano, ma che per strada tutto è veloce e che gli serviva del tempo per “fermare il mondo” o, come diremmo noi che ne sappiamo, “decomprimersi”.
Voleva chiederci aiuto, ma prima voleva metterci alla prova e vedere se eravamo “come tutti gli altri, che giudicano senza aver vissuto, pronti a mostrarti la strada giusta da percorrere nei tempi giusti”.
L’aiuto che voleva chiederci era di uscire dalla vita di strada, ma senza strappi e, soprattutto, senza farsi vedere dagli altri ragazzi “perché se va male, io per strada ci devo tornare e non posso perdere la faccia”.
Non credo che esista un manuale su “come si aggancia un minore straniero che non chiede aiuto”, ma se dovesse esistere, siamo abbastanza sicuro che preveda comunque il rivolgergli la parola. Noi invece conoscevamo la sua voce solo attraverso il “salam alaikum” e per le 5 cifre del suo numero di tessera recitate lentamente, ogni mattina, per settimane.
Tutto questo per dire che il modo migliore per agganciarlo era stato non-agganciarlo.
E naturalmente questo è solo un esempio di tutte le volte che, facendo il contrario di ciò che si dovrebbe fare, in qualche modo, si arriva a un risultato. Chiunque faccia il nostro lavoro sa di cosa stiamo parlando.
Ecco, qui a Civicozero questa è praticamente la quotidianità, tra lavatrici, supporti legali e lezioni di italiano e cerchiamo, un po’ come tutti, di portare a casa la giornata. E il più delle volte ci riusciamo pure, ma poi capita di confrontarci e di sentire forte il bisogno di capire il perché accadono alcune cose, il come avvengono e soprattutto cosa possiamo fare per farci trovare pronti la prossima volta.
Poi però il quotidiano torna a premere, sempre più forte, e ci costringe a restare operativi.
Certo, quello che ciascuno di noi ha studiato all’università rimane una bussola fondamentale, ma non può prescindere dal dover improvvisare, inventare nuovi percorsi e, infine, interrogarsi su ciò che viviamo.
Da qui nasce l’esigenza di questo blog, che non vuole essere altro che un luogo per discutere, parlare dei problemi che incontriamo ogni giorno, ripiegando quel mantello che ogni tanto crediamo di portare. L’obiettivo di questo strumento non sarà quello di offrire soluzioni, snocciolare verità o lanciare generici “J’accuse” contro il sistema, quanto piuttosto quello di restituire al lettore, per quanto possibile, la complessità di un fenomeno sfuggente e in continuo mutamento anche per chi, come noi, ci lavora da anni.
E questa complessità spesso si sclerotizza in immagini, in parole, che per un certo periodo diventano onnipresenti, quasi dei feticci che condensano la nostra appartenenza un certo mondo. E questa pratica non ha risparmiato nemmeno Omero: una delle immagini che torna più spesso, infatti, è quella di Ulisse. Perché c’è tutto: il tornare dalla guerra, il desiderio di casa, il mare, il peregrinare senza sapere dove si sta andando, la morte dei compagni e, infine, l’arrivo, molto diverso da come lo si era immaginato. Lo sappiamo: anche se nessuno lo ammette, siamo davvero prevedibili.
Tuttavia, pensandoci, esiste un secondo Ulisse ed è quello che, tornato a casa, si annoia. Vorrebbe conoscere il perché delle cose, capire le persone, scoprire “le leggi del mondo”, anche a costo di rimettersi in viaggio. È l’inquieto Ulisse di Dante. Ecco, questo è quello che vogliamo fare noi: perché è vero che c’è il quotidiano che spesso contrasta con ciò che ritenevamo “vero”, ma se poi non siamo in grado di riflettere su ciò che vediamo, ecco che quel portare a casa la giornata diventa l’inutile lavoro di Sisifo.
Gli strumenti che abbiamo sono la nostra esperienza e le nostre conoscenze, e la volontà è quella di osservare quando queste due realtà sembrano andare in conflitto e chiederci non necessariamente “perché?”, ma anche un semplice “ci hai fatto caso?”
Perché in fondo la verità è che nel nostro lavoro è un continuo navigare a vista, dove gli strumenti più affidabili non sono solo la bussola o il radar, ma anche i nostri sensi, l’intuito e la necessità di confrontarsi senza pregiudizi, formalismi o rigidità.
Benvenuti, quindi, su “per l’alto mare aperto”, il nuovo blog di Civicozero.
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