[vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern”][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]

Abbiamo risposto “grazie capo” perché eravamo ancora vivi.

[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”9995″ img_size=”full” qode_css_animation=””][/vc_column][/vc_row][vc_row css_animation=”” row_type=”row” use_row_as_full_screen_section=”no” type=”full_width” angled_section=”no” text_align=”left” background_image_as_pattern=”without_pattern” css=”.vc_custom_1666878130368{margin-top: 50px !important;padding-top: 50px !important;}” z_index=””][vc_column][vc_column_text]

Ecco la storia completa della mia infanzia e la vera causa della mia partenza.

Sono nato in una famiglia di religioni diverse, mio padre era musulmano e mia madre cristiana; per questo motivo mio padre ha divorziato da lei, allora avevo solo tre anni, avevo appena iniziato la scuola nido. Mia madre era tornata dalla sua famiglia a C. e mi aveva affidato a mio padre che aveva due mogli. Mio padre mi voleva molto bene, tutte le mattine si occupava di me e mi accompagnava con la sua moto a scuola; ma quando lui non c’era le due donne mi castigavano, mi picchiavano e mi insultavano prendendo in giro mia madre e dicendomi che ero un figlio nato fuori dal matrimonio.

Non avevo più notizie di mia madre. Tutti i giorni, quando mia madre chiamava mio padre per parlare con me, mio padre la minacciava vietandole di chiamarmi sul suo cellulare. Cosi sono passati due anni senza poter stare con mia madre. Alla fine del 2005 mio padre è morto a causa di una malattia di fegato.

Da quel momento in poi la mia vita si è trasformata in un inferno: non avevo più nessun sostegno, non c’era più nessuno disposto a coprire le spese per la scuola, potevano passare quattro giorni senza colazione al mattino, andavo a scuola a pancia vuota. Dopo molti mesi di sofferenza nella famiglia di mio padre, alla fine del 2007 mia madre è venuta a prendermi durante le vacanze per portarmi con sé a C.

Arrivati a C. ho deciso di non tornare più a K. dove ero stato molto maltrattato.

Così ho ripreso i corsi con il sostegno di una chiesa di cui il fratello maggiore di mia madre era responsabile. Visto lo stato di salute di mia madre, tutte le domeniche l’accompagnavo in chiesa nella sua carrozzina perché lei era handicappata e non poteva camminare. Mia madre e suo fratello mi trattavano con grande amore e attenzione. Per merito loro andavo regolarmente in chiesa. Un giorno mentre accompagnavo mia madre in chiesa, uno dei miei cugini paterni mi ha sorpreso lì davanti e mi ha chiamato chiedendomi se avevo cambiato religione. Gli ho risposto: no, sono venuto a accompagnare mia madre. Allora lui mi ha detto: no, è falso, dimmi la verità. Ho tentato di convincerlo che era vero, ma lui ha cominciato a schiaffeggiarmi e bastonarmi; così sono fuggito in chiesa per salvarmi.

La sera, arrivati a casa, mia madre ha ricevuto una chiamata da un numero nascosto che l’ha minacciata di riportarmi nella famiglia di mio padre a K. con l’accusa che era stata lei a farmi cambiare religione. Mia madre ha risposto che io ero libero di scegliere la religione che mi piaceva. Il tizio al telefono l’ha minacciata dicendo che se non tornavo a K. avrebbe decretato la shari’a islamica contro di me e di colpo ha riattaccato. Ogni giorno lo stesso numero continuava a chiamarci per lanciare serie minacce contro di me. Così abbiamo fatto una denuncia contro ignoti; ma malgrado ciò la mia vita continuava a essere in pericolo perché io non ero stato riconsegnato come voleva la famiglia di mio padre e le minacce continuavano. Da un giorno all’altro ero diventato un prigioniero, non andavo più regolarmente a scuola, avevo paura di essere rapito.

Verso la fine del 2013 anche mia madre è mancata per una crisi cardiaca.

Dopo la sua morte ho perso ogni speranza. Viste le minacce che pesavano contro di me volevo solo suicidarmi, sapevo che anch’io sarei presto morto, sapevo bene di cosa era capace la famiglia di mio padre.

Malgrado mia madre non ci fosse più continuavo ad avere il sostegno della chiesa e il fratello maggiore di mia madre continuava a pagare le mie spese di scolarità.  Nel 2014, durante la stagione delle piogge, mentre lasciavo la casa di notte nel mese di luglio, sono stato attaccato da un gruppo di sconosciuti davanti al domicilio di mio zio.

Questi mi hanno inseguito fino alla porta d’ingresso della casa, poi hanno aperto il fuoco su di me con delle pallottole vere, colpendomi al ventre e danneggiando il mio testicolo sinistro e il mio rene sinistro. Quando ero per terra mi volevano perfino sgozzare con un coltello per finirmi. Ma ho sentito uno di loro dire: no, non fare questo, è già morto. Il sangue colava su di me dappertutto, il mio sesso era ferito, il rene era completamente distrutto, la mia pancia perforata dal proiettile, così mi è mancato il respiro e ho perso conoscenza. Dopo aver passato un mese all’ospedale, sono uscito dall’ospedale con l’appoggio finanziario della chiesa. Nel 2015, dopo aver visto che non ero morto, hanno nuovamente cominciato a minacciarmi; questa volta anche il fratello di mia madre è stato minacciato; allora mio zio ha deciso che dovevo lasciare il paese e mi ha affidato a uno dei suoi amici (che andavano) in Libia. (…)

Mentre stavamo attraversando il deserto in modo clandestino per raggiungere il confine tra il Mali e l’Algeria, eravamo in tutto 70 su un camion, siamo stati intercettati dai ribelli nella regione di K. che hanno fermato il convoglio chiedendo a tutti di scendere sotto un sole infuocato.

Ci hanno chiesto chi era il capo convoglio tra noi, abbiamo risposto: tra noi non c’è un capo gruppo, siamo solo dei passeggeri che cercano di raggiungere il confine con l’Algeria.  Ma il capo dei ribelli si è innervosito e ci ha detto: come potete attraversare la nostra zona senza un capo convoglio, dopo di ché mi ha chiamato: tu piccolo, vieni qui, da ora in poi sei tu il capo convoglio. Ok, ho risposto, sì capo, va bene.

Avevo molta paura, ho cominciato a tremare e a piangere in fondo al mio cuore perché tutti quei ribelli erano armati fino ai denti con bastoni e fucili di ogni tipo. Per di più eravamo in fondo al deserto, non c’era nessuna possibilità di soccorso, e io ero preoccupato per la mia nomina quando il capo ribelle mi ha chiamato nuovamente dicendomi: adesso tu chiederai 5000 franchi CFA a tutti i tuoi amici, ok? Dopo devi venire per un resoconto nel mio ufficio. Eravamo tutti tramortiti per il sole molto infuocato, il vento molto caldo, non avevamo più acqua da bere, niente di niente. Mi ricordo che alcuni dei nostri amici avevano cominciato a perdere sangue dal naso, la temperatura del sole era molto elevata; malgrado tutto, ho fatto del mio meglio per rimediare qualche soldo, ma abbiamo potuto raccogliere in tutto solo 8500 franchi CFA. Non avevo scelta, dovevo assolutamente andare a riferire al capo ribelle.

Il suo ufficio era a 10 metri da noi; era una piccola casa non finita circondata da jeep da combattimento e da altri pickup. Arrivati a un metro dall’ufficio ho mostrato un segno di rispetto: mi sono inginocchiato affinché notasse la mia presenza. Quando mi ha visto, mi ha chiesto di alzarmi e di venire da lui. Avevo molta paura che mi uccidesse perché non avevo raccolto la somma che mi aveva chiesto. Arrivato davanti a lui gli ho detto: noi che ci vedi sotto il sole, siamo tutti ragazzi poveri, siamo andati via per cercare una vita migliore, siamo veramente dispiaciuti di non poter esaudire la vostra richiesta ma abbiamo potuto raccogliere solo 8500 franchi CFA. Prima ancora che finissi di parlare, lui si è buttato su di me e mi ha steso a terra e ha cominciato a picchiarmi con un bastone pesante di legno: torna dai tuoi amici, mi ha detto, e dì loro che avete 30 minuti per trovare la somma che ho chiesto; in caso contrario pagherete il prezzo con la vostra vita.

Quando sono tornato dai miei amici, il mio corpo era pieno di sabbia e il sangue colava sulla mia testa; dopo aver trasmesso il messaggio del capo ribelle ai miei amici, ho deciso di non essere più il capo convoglio perché ero ferito e colpito da tutto quello che mi era successo; avevo capito che se tornavo là senza i soldi che lui mi aveva chiesto ci lasciavo la vita.

Dato che non avevamo più soldi da dargli, che non avevamo più da mangiare o da bere, ci siamo tutti seduti sotto il sole infuocato, ci siamo raggruppati e abbiamo pregato Dio affinché ci salvasse dai ribelli, o piuttosto per farci perdonare dei peccati che avevamo commesso perché avevamo capito che se questo ribelle ci trovava ancora senza soldi ci avrebbe uccisi tutti. Sapevamo che stavamo per morire: non avevamo più niente da mangiare, stavamo sotto il sole, il sangue ci colava dal naso, non avevamo più scelta: la morte veramente si avvicinava, non sapevamo più dove andare per salvare la nostra vita, eravamo al centro del deserto con un vento molto caldo e molto violento. Passati trenta minuti senza risultati il capo mi ha nuovamente chiamato con un tono violento. Visto che non avete trovato i soldi richiesti, ha detto, morirete uno dopo l’altro. Tu che sei il capo gruppo, sarai il primo a morire, vieni qui. Ho lasciato i miei amici sapendo che stavo per morire e che non sarei più tornato, stavo per morire da un momento all’altro. 

Arrivato davanti al capo ribelle, questi mi ha afferrato per il collo puntandomi un’arma alla testa e mi ha fatto entrare nel suo ufficio. Tremavo, avevo la gola tutta secca, non avevo più saliva in bocca. Mi ha chiesto: hai paura di morire? gli ho detto: no capo; allora perché tremi? tremo perché non so cosa ne sarà di mia figlia, come potrà continuare a vivere quando saprà che suo padre è morto nel deserto. Mi ha detto: ah ok, è per questo che piangi, è per questo che tremi? A quel punto ha cominciato a guardarmi con un’aria più rassicurante: non ti arrabbiare fratello, tutto andrà bene, non morirai, facciamo questo solo per farvi paura, e per trovare un nostro guadagno; siete nostri figli, nessuno vi farà del male qui. Sono io il capo: avendo constatato che non avete soldi, adesso procederemo alla ricerca delle vostre cose e prenderemo tutto quello che ci conviene, sei d’accordo? ho risposto: si capo sono perfettamente d’accordo. Ho cominciato a spogliarmi per dargli i miei vestiti. Lui mi ha detto: no, non so che farmene dei vestiti, voglio solo il denaro e il telefono. Ok, ho detto, ok. Poi mi ha detto: adesso uscirò e farò credere ai tuoi amici che tu sei morto e che se non vogliono morire anche loro devono collaborare e darmi tutti i loro soldi e i telefoni. L’ho guardato con soddisfazione e gli ho risposto con garbo che ero d’accordo e che ero pronto a seguire le sue istruzioni.

Poi lui è uscito e ha trovato tutti miei amici seduti mentre aspettavano il loro ultimo minuto di vita; stavano già pregando per il riposo della loro anima; ha poi proceduto alla perquisizione prevista, ha preso tutti i nostri beni, i nostri telefoni, i nostri orologi. Dopo di ché ci ha liberati verso le 17 dicendo: che Dio abbia cura delle vostre povere anime. Abbiamo risposto: grazie capo, con grande soddisfazione, perché eravamo vivi.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]