“Uccidiamo l’afghano”

Tra di loro dicevano “È da tanto che non uccidiamo un afghano”. Il mio unico desiderio era chiamare la famiglia per dirle che stavo per morire.

Il testo qui di seguito è frutto di una trascrizione. Come avrete modo di leggere, il protagonista di questa storia è analfabeta e ha deciso di dettare la sia storia a un altro ragazzo, Syed, che ha trascritto e tradotto.

 

Io sono Haji, ho 15 anni. Quando avevo 3 anni, ci siamo rifugiati in Pakistan perché c’era la guerra dovuta alla violenza dei talebani. Vivevo a Peshawar con mia famiglia che era composta da mia madre, mio padre, mia sorella e mio fratello. All’età di 6 anni ho iniziato il lavoro come tessitore di tappeti perché economicamente non stavamo bene. Ho fatto questo lavoro per 8 anni. Purtroppo stavamo in una situazione per cui non sono riuscito a studiare manco un giorno ed ora sono un analfabeta.

Dopo undici anni di immigrazione e sofferenze in Pakistan, quando la situazione politica del Afghanistan è cambiata, ci siamo tornati.

Dopo due mesi di permanenza in Afghanistan, per degrado della situazione della sicurezza sono stato costretto a lasciare il mio paese di nuovo. Partendo per l’Iran sono arrivato al confine. Mentre scavalcavo le mura per oltrepassare il confine, la polizia iraniana ci ha sparato invitandoci a fermarci. Noi alzando le mani ci siamo arresi.

Quando la polizia si è avvicinata a noi, ha iniziato a picchiarci, ci dava calci e pugni però un poliziotto mi ha lanciato al occhio un mattone. Ero quasi certo che mi avrebbe ucciso e in quella stanza il mio unico desiderio era chiamare la famiglia per dirle che sto per morire. Prima di noi avevano fermato anche gli altri ragazzi e gli avevano sparato alle gambe uccidendoli e ferendoli. Tra di loro dicevano “È da tanto che non uccidiamo un afghano”. Insomma dopo averci messo le manette, ci hanno portato in carcere dove siamo rimasti per 15 giorni in una situazione degradante e disumana. In 24 ore solo una volta ci dava un po’ di pane e acqua. Dopo cinque giorni siamo stati rimpatriati in Afghanistan. Però essendo costretto sono ripartito per l’Iran. Per fortuna questa volta con tante difficoltà ci sono riuscito ad arrivare  a Teheran dove sono rimasto 5 mesi. In questi cinque mesi ho lavorato come muratore, venivamo discriminati sull’autobus, taxi, per le strade insomma ovunque solo perché siamo afghani. Per esempio se un afghano si metteva i vestiti belli e puliti gli iraniani offendendolo dicevano “gli afghani per la prima volta si mettono i vestiti belli e puliti solo in Iran”, invece se si metteva i vestiti vecchi o stava con vestiti del lavoro, gli dicevano “sporco afghano! puzza e rende sporca la nostra città”. Comunque partendo per la Turchia sono arrivato a Tabriz, fino a Van abbiamo camminato a piedi.

Da Van fino ad Istanbul abbiamo viaggiato sul pullman con i passaporti falsi.

Poi siamo partiti per la Grecia, per oltrepassare il confine abbiamo attraversato il fiume con il gommone. In questo fiume ci sono anche ‘coccodrilli’. Attraversando il fiume abbiamo camminato per 5 ore finché abbiamo raggiunto una chiesa in cui abbiamo dormito fine la mattina.

Il giorno dopo con la macchina volevo andare a Atene però le macchine non si fermavano per darci un passaggio. Dopo alcune ore è arrivata la polizia e ci ha portato in carcere. Le famiglie e i ragazzi minorenni venivano trattenuti perciò sono rimasto 42 giorni nel carcere.

Spesso discutevamo con la polizia per essere rilasciati però la polizia ci rispondeva dicendoci che siamo minori non accompagnati e non avrebbe potuto rilasciarci per strada e che dovevamo aspettare finché si sarebbero trovati i posti letto per noi in una casa famiglia. Alla fine ci hanno mandato in una casa famiglia da cui dopo una settimana sono scappato e sono andato a Patrasso.

Volevo arrivare in Italia provando da solo (senza aiuto di un trafficante) e nascondermi sotto il tir. Però quando ho visto la situazione in cui si trovavano gli afghani cioè loro erano costretti a dormire nei cantieri, qualcuno stava con la gamba rotta, qualcuno con il braccio rotto invece qualcuno con i denti spaccati.

Gli chiedevo da chi si erano ridotti cosi? Rispondevano dalla polizia. Un giorno sono andato nel parcheggio dei tir però la polizia non mi [ha] lasciato entrare. Dopo un po’ è arrivata la macchina della polizia. Mentre ci trovavamo in mezzo la strada, la polizia in macchina ha cercato di investirci. Per fortuna davanti non ce l’avevo la macchina altrimenti sarei stato schiacciato dalla macchina. Scavalcando lo spartitraffico mi sono fatto male alla gamba. Una settimana sono stato fermo perché mi faceva molto male la gamba. Dopo questo incidente sono andato a Kerentus. Dopo una settimana il trafficante ci ha sistemato dentro il tir in mezzo al carico dei cavi elettrici. Dopo 24 ore il tir  è partito e si è imbarcato nella nave.

Dopo due giorni siamo arrivati in Italia e siamo scesi dal tir. Sono girato a sinistra, uscendo dal buco, ho camminato per un’ora. Ho incontrato un ragazzo afghano pashtun. Gli ho chiesto se mi poteva ospitare una notte a casa sua. Ho fatto la doccia, mi ha dato i vestiti e mi sono anche riposato.

Il giorno dopo comprando il biglietto del treno a 76 euro sono partito per Roma. Ora mi trovo a Roma, vorrei andare in un altro paese nord europeo. 

Ringrazio molta la gente e la polizia italiana.

 

Haji
Afghanistan